Solo i crediti d’imposta inesistenti, e non anche quelli non spettanti, possono essere recuperati in otto anni.
A sostenerlo è la Cassazione con l’ordinanza 5243/2023 che prende posizioni su questioni per le quali si è in attesa delle decisioni delle Sezioni Unite.
In aggiunta, la Cassazione ha tenuto a precisare che il termine di decadenza decorre dalla data di utilizzo del credito e non dalla presentazione della dichiarazione.
Ricordiamo che un credito è definito inesistente nel caso in cui manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante la liquidazione delle dichiarazioni o i controlli formali.
Una società impugnava atti di recupero per vari anni di crediti di imposta maturati a seguito di una ricerca commissionata ad una università. Secondo l’ufficio, la società avrebbe utilizzato fatture per operazioni inesistenti con conseguenti indebiti utilizzi dei crediti.
Dopo la conferma degli atti impositivi in primo grado, i giudici di appello confermavano la fittizietà della realizzazione della ricerca scientifica, sancendo che il tutto era stato meditato al fine di di sfruttare il credito d’imposta.
Interpellata la Suprema corte, ha fornito alcune importanti precisazioni.
Innanzitutto, viene ricordato, che per credito «inesistente», deve intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante la liquidazione delle dichiarazioni o i controlli formali. Deve quindi trattarsi di una fattispecie interamente artefatta.
Solo in tali contesti e per tali recuperi (e non anche per quelli non spettanti) l’atto può essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.
Infine l’ordinanza ha chiarito che il termine di decadenza degli otto anni decorre dal momento di utilizzo del credito e non dalla presentazione della dichiarazione.
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